2001, Bruno Ferretti
Il pallone di Costantino (Tratto da: Bruno Ferretti, "I percome e i perché - I Racconti del Premio Gianni Brera, Edizioni Selecta – Pavia - 2001)

Costantino non capisce. Abituato a lavorare tutta la settimana, concepisce la domenica come il giorno del riposo. Da trascorrere in famiglia o comunque facendo qualcosa di piacevole, distensivo. E non riesce a capire come mai tanta gente sia disposta a sacrificare il pomeriggio della domenica dentro lo stadio per seguire una partita di calcio. Magari al freddo, oppure con il rischio di mettersi a litigare con il vicino di posto per un gol annullato o di prendersi una solenne arrabbiatura. Per tornare a casa deve transitare davanti allo stadio Del Duca di Ascoli Piceno, la sua città, e ogni volta si meraviglia. "Ma cosa ci proveranno di tanto divertente quelli là dentro, proprio non lo capisco", ripete a se stesso. E qualche volta, quando il parcheggio dello stadio si riempie, si infuria addirittura perché alcune auto finiscono davanti al suo cancello.

Costantino Rozzi, geometra, imprenditore emergente, è un uomo tutto casa e lavoro. Lo sport lo interessa poco, del calcio non sa niente. Anni sessanta, gli anni del boom economico. L'edilizia è in forte ripresa e lui si è tuffato anima e corpo in questa attività avendo compreso, con felice intuito, che sarebbe stata una grande risorsa di sviluppo economico per i prossimi decenni.

La squadra di calcio si chiama Del Duca Ascoli dal nome dell'ex presidente mecenate, Cino Del Duca, che negli anni Cinquanta è partito da Montedinove, piccolo paese in provincia di Ascoli, per andare a far fortuna – tanta fortuna – niente meno che a Parigi, la fascinosa capitale francese, creando un vero e proprio impero editoriale. Il signor, anzi monsieur Del Duca, era molto appassionato di calcio e aveva deciso di sostenere la squadra della sua terra di origine. E così, da Parigi, ogni anno inviava un contributo che i dirigenti utilizzavano per gestire la società. Facendo molta economia sulle spese ( costi di gestione, ingaggi dei calciatori e stipendi) con il contributo del patron italo-francese riuscivano quasi a pareggiare il bilancio. La Del Duca Ascoli, promossa in serie C non per aver vinto un campionato ma per meriti sportivi ( squadra di città capoluogo, stadio adeguato, buona tradizione) da anni vivacchiava in serie C. Senza infamia e senza lode. Riusciva a mantenersi nella categoria, qualche volta soffrendo fino all'ultima giornata, qualche altra salvandosi con un certo anticipo. Ma sogni di gloria non poteva certo farne. A vedere la partita andavano mille - duemila spettatori che diventavano tremila quando c'era il derby con la Sanbenedettese, la fiera ed irriducibile antagonista che giungeva dal mare. La rivalità fra le due squadre e soprattutto fra le rispettive tifoserie era tale che spesso e volentieri il derby finiva a ...cazzotti.

"Costantino , vieni anche tu nella Del Duca Ascoli. Potrai darci un aiuto", dicono alcuni amici a Rozzi che rifiuta cortesemente l'invito. Salvo poi arrendersi alle insistenze, forse più per compiacere gli amici che per propria convinzione. E così il geometra Costantino Rozzi, figlio del "sor" Guido, portinaio, e di Lucia, casalinga, entra nella dirigenza della Del duca Ascoli. Gli amici lo coinvolgono fino in fondo: sanno che lui possiede particolare carisma e doti di trascinatore. E alla prima riunione di Consiglio lo nominano presidente. Costantino, ignaro di quello che sarebbe accaduto, accetta. Ma essendo dotato di straordinario intuito, e soprattutto di spirito vincente, si cala presto e bene nel nuovo ruolo mostrando di avere attitudini insospettate. Lui è un leader carismatico. Lo era stato da ragazzo a scuola, poi nel mondo del lavoro. E non poteva certo smentirsi in questa nuova avventura.

"Voglio andare in serie B", dice alla prima riunione da presidente nella sede della società sportiva, un grosso appartamento nel centro della città, lasciato in concessione (dopo la scomparsa) dall'ex patron Cino Del Duca. "In serie B? Costantino vuoi scherzare?", gli risponde Walter Pani, uno degli amici che lo avevano trascinato dentro la società sportiva. "Per andare in B ci vuole una squadra forte, bisogna spendere un sacco di quattrini e noi non li abbiamo. Se riusciamo a restare in serie C è già un miracolo". Ma Costantino Rozzi non ama le mezze misure. Si mette al lavoro. Incontra tecnici, dirigenti, addetti ai lavori, parla, si informa e costruisce una buona squadra in grado di lottare per la promozione. I ruoli si sono già invertiti: adesso è lui che trasporta gli altri, una volta superati gli ostacoli dettati dalla prudenza. Per Costantino il bicchiere è sempre mezzo pieno, mai mezzo vuoto. La Del Duca Ascoli, sotto la guida di Costantino Razzi, è protagonista del campionato di calcio 1967-1968 piazzandosi nelle zone alte della classifica finale. Un primo passo avanti rispetto al mediocre passato. Razzi comincia a prenderci gusto. Ormai si è messo in mente di portare la squadra in serie B e non intende rinunciare al suo ambizioso progetto. La mossa vincente, quella che avrebbe determinato la svolta, è la scelta del tecnico. Dopo aver affidato la panchina ad alcuni allenatori di categoria, gente esperta ma forse ormai demotivata, Razzi trova la geniale intuizione. "Te la senti di allenare la squadra?", chiede un giorno a Carlo Mazzone che da quando aveva smesso di giocare, cioè da poco più di un anno, allenava la squadra giovanile. Marrone, superato un primo momento di comprensibile sorpresa, accatta la "scommessa". "Me la sento" risponde al presidente. Da quella stretta di mano nasce un sodalizio vincente che negli anni successivi, farà la fortuna del Del Duca Ascoli, lasciando anche un'impronta tangibile nella storia del calcio italiano, almeno a livello di squadre provinciali. Al termine del campionato 1970-71 l'Ascoli (che nel frattempo aveva cambiato denominazione rinunciando al nome dell'ex presidente) conquista la promozione in serie B. Un risultato storico. Costantino Rozzi, Carlo Marrone e tutti i calciatori bianconeri vengono portati in trionfo dai tifosi che, nel frattempo, sono diventati assai più numerosi. Festa popolare in Piazza del Popolo mentre la via che conduce allo Zeppelle diventa "Via del calcio spettacolo", per futura memoria.

L'Ascoli in B è un vanto per l'intera città, un autentico fiore all'occhiello. Mentre tutti, pensando al prossimo campionato, dicono: "Speriamo di salvarci", Rozzi tuona alla sua maniera: "In B solo di passaggio: voglio portare l'Ascoli in serie A". E qualcuno lo prende per matto. "Costantino, forse non ti rendi conto. In serie A ci stanno Juventus, Milan, Inter. Come puoi pensare una cosa del genere?". "Io non la penso...la faccio", risponde agli increduli.

L'Ascoli, al suo primo campionato di serie B, sfiora il grande salto classificandosi al quarto posto, a un solo punto dalla terza (le promozioni sono tre). Tutti gli addetti ai lavori restano però meravigliati dalla forza, dalla maturità, dal valore della matricola marchigiana. Ma la clamorosa promozione è solo rinviata di poco. Il tandem Rozzi-Marrone ormai ci ha preso gusto. L'Ascoli in serie A ci arriva al termine del campionato 1973-74. E tutta la città impazzisce di gioia. La festa dura un'intera settimana. Canti e balli in piazza, spettacoli pirotecnici. I giorni si confondono con le notti. Una sorta di Carnevale di Rio trasferito nel Piceno. La promozione in serie A è un evento storico che trascina tutto e tutti, un evento che va ben oltre la sfera sportiva coinvolgendo anche l'aspetto socio-economico della città e del suo territorio. Ascoli, città con poco più di 50 mila abitanti, emarginata dalle grandi vie di comunicazione, con un'economia piuttosto limitata, pur ricca di storia, di bellezze artistiche e monumentali, è esclusa dai grandi itinerari turistici. Alcuni la conoscono per la bella rievocazione storica della Quintana con il corteo in costume quattrocentesco e il torneo cavalleresco (prima domenica di agosto), altri per le gustose olive ripiene, piatto forte della gastronomia locale. Altri ancora la conoscono per i tesori architettonici e culturali tramandati attraverso i secoli dalla sua storia millenaria.

Adesso, invece, tutti conoscono Ascoli anche e soprattutto per la squadra di calcio che è riuscita a raggiungere il massimo livello nazionale. Nel calcio, almeno nel calcio, il capoluogo piceno può sentirsi importante. Costantino Rozzi, il geometra che non capiva cosa ci fosse di bello nel seguire una partita di calcio, e Carlo Marrone, l'allenatore fatto in casa, sono gli artefici principali di questa straordinaria conquista sportiva che poi è anche una crescita sociale. Tutta la città si innamora dell'Ascoli. E mezza regione.

"Il nostro stadio contiene diecimila spettatori: per la serie A non è sufficiente. Dobbiamo ampliarlo", dice Costantino Rozzi. "Se il Comune mi concede subito le autorizzazioni metto sotto la mia impresa e per la prima partita di campionato il nuovo stadio sarà pronto".

Detto fatto. Il progetto del "presidentissimo" (ormai lo chiamano così) va in porto. Lo chiamano lo stadio dei cento giorni perché realizzato in poco più di tre mesi nel corso dei quali il cantiere resta aperto giorno e notte. Perfino la domenica. Si lavora anche di notte alla luce dei riflettori per non perdere tempo. La gente va a vedere i lavori come se fosse uno spettacolo, tanta è la passione calcistica che ha invaso un po' tutti gli ascolani. Tanta è l'attesa di vedere finalmente completato lo stadio dove la squadra del cuore avrebbe dovuto affrontare – da pari a pari – i mostri sacri del calcio italiano, i grandi campioni.

Giorno e notte, notte e giorno si lavora senza pause nel cantiere allo stadio, danno una mano addirittura alcuni volontari. Alla fine i tempi di esecuzione sono rispettati.

L'Ascoli disputa la sua prima partita di serie A allo stadio San Paolo di Napoli dove esce sconfitto 3-1. La soddisfazione è enorme lo stesso. E nella seconda giornata di campionato può ospitare al Del Duca il Torino, guidato da "Mondino" Fabbri, ex Commissario Tecnico della Nazionale azzurra nella sfortunata avventura ai mondiali del 1966 in Inghilterra. Quel giorno il Del Duca, che è stato portato ad una capienza di oltre trentamila spettatori, registra il tutto esaurito. E l'Ascoli, giocando con in cuore contro il più forte avversario granata, conquista il suo primo punto in serie A. Finisce 1-1 con gol di Ciccio Graziani per il Toro, e di Renato Campanini per l'Ascoli. Quest'ultimo, detto "faccia da gol", è il beniamino dei tifosi perché a suon di reti aveva trascinato la squadra dalla C fino alla serie A. Emiliano di Pieve di Cento, dopo un lungo girovagare fra tante squadre, era approdato ad Ascoli ormai trentenne cioè quasi a fine carriera. Ma, rivitalizzato dall'entusiasmo dei tifosi ascolani, Campanini conosce proprio ad Ascoli le sue stagioni migliori realizzando valanghe di gol. Prima in C, poi in B. Infine anche in A, a 36 anni, è ancora in grado di dire la sua. Proprio per questo lo chiamano "faccia da gol" e mai nomignolo risultò più azzeccato. Entra nella leggenda del calcio ascolano.

Costantino Rozzi è religioso e praticante ma questo non gli impedisce di avere le sue scaramanzie. E' convinto che certi riti possono propiziare la vittoria del "suo" Ascoli e non ci rinuncia per nessuna ragione al mondo. Alla partita va sempre con i calzini rossi, magari poco eleganti ma sicuramente propiziatori di buona fortuna. Quando va negli spogliatoi a salutare la squadra, sbatte a tutta forza la porta, a tal punto che il falegname, deve intervenire per ripararla, almeno due o tre volte a campionato. Poi entra in campo passando dalla porta di servizio e prima di raggiungere la panchina salta la pedana del salto in lungo. Tra il primo e il secondo tempo mangia lupini. Insomma una serie di riti scaramantici che ormai fanno parte della sua personalità, del suo modo di essere e di vivere l'evento calcistico.

In panchina, poi, è un diavolo: gli arbitri faticano a controllarlo. Si alza, cammina, inveisce, supplica, scalcia, protesta. Poi si rimette a sedere. Poi ricomincia da capo. Seduto e tranquillo non ci sa stare. E' più forte di lui. E qualche volta ricorre anche a trucchi strategici, pur di raggiungere l'obiettivo. Presidente perché si fa espellere? Gli chiede un giornalista in sala stampa dopo la partita. E lui con candore: "Perché la partita si stava addormentando sullo 0-0. Allora ho fatto "casino", l'arbitro mi ha espulso, il pubblico si è acceso e la squadra si è svegliata. Alla fine abbiamo vinto..Ma senza la mia espulsione...".

Con gli arbitri spesso mantiene un rapporto conflittuale. Lui protesta, loro lo richiamano e spesso finisce espulso. Una volta, dopo una partita persa in malo modo in casa, entra nello spogliatoio dell'arbitro per dirgli quello che pensa. Bussa alla porta. Avanti. Entra e comincia a sfogarsi ma l'arbitro lo redarguisce con severità. "Esca subito fuori, questo è il mio spogliatoio". E lui per nulla intimorito: "Se ne vada lei, questo è il mio stadio!". Le squalifiche non sono mai una preoccupazione per lui.

Costantino Rozzi diventa un personaggio del calcio. Uno dei più conosciuti e popolari. Anche uno dei più apprezzati per la sua franchezza. Pane al pane, vino al vino. Anche se certe affermazioni possono essere scomode, o dar fastidio a qualche potente. Le trasmissioni sportive se lo contendono e Razzi non dice di no a nessuno. Schietto, irascibile, impulsivo, a volte irriverente, il "presidentissimo" dell'Ascoli diventa portavoce del calcio di provincia che non vuole più recitare il ruolo di comprimario alla corte delle grandi squadre. "Il potere economico nel calcio non deve entrare altrimenti possiamo fare le classifiche con la ricchezza di società e presidenti, non con i punti conquistati in campo" ripete, magari scontrandosi apertamente e duramente con chi, invece, sostiene tesi contrarie. E' il primo, in tempi non sospetti, ad alzare la voce contro certi eccessi del calcio, mettendo in guardia dai possibili pericoli di voler fare il passo più lungo della gamba. Se avessero seguito le sue indicazioni, senza inseguire ingannevoli chimere, molte società non avrebbero fatto la brutta fine che invece hanno poi fatto. Lui, Costantino Razzi, con una gestione accorta, senza mai perdere di vista il bilancio, riesce a mantenere l'Ascoli per 14 anni in serie A (fra promozioni e retrocessioni) e 9 anni in serie B. Un record difficile da battere. L'abilità del geometra Costantino Rozzi è davvero fuori dal comune. Ha una capacità imprenditoriale e intuizioni vincenti che lo rendono un uomo vincente nel calcio ma anche negli altri settori della sua attività produttiva: edilizia, settore alberghiero, produzione vini.

L'udienza privata dal Papa e la laurea honoris causa in sociologia all'Università di Urbino sono due tappe indimenticabili ma lui esulta e gioisce di più per una vittoria dell'Ascoli. Ascoli che nel frattempo è diventata la sua seconda famiglia a tal punto che ormai si identifica con essa.

La tribuna stampa del Del Duca è frequentata dai più noti e quotati giornalisti sportivi. Quando l'Ascoli ospita le grandi squadre, giungono gli invitati più importanti. Ma il principe ad Ascoli non è ancora venuto. Qualche giorno prima di Ascoli – Inter in città rimbalza la notizia: domenica ci sarà anche Gianni Brera. Informano il presidente Rozzi che si mostra molto lieto: "Finalmente potrò conoscerlo e salutarlo", dice ai suoi collaboratori. Ma l'attesa resta vana perché è vero che il grande Gianni Brera parte da Milano per seguire la partita dell'Inter, ma ad Ascoli non arriva. Accade infatti che, strada facendo si scatena un autentico nubifragio in autostrada a tal punto che Brera, giunto nei pressi di Bologna, decide di fermarsi. Cambia programma e va a vedere la partita degli emiliani. Il servizio su Ascoli - Inter verrà effettuato da un altro giornalista che era al seguito dell'Inter dal venerdì. Costantino avrà modo di conoscere Gianni Brera nella partita di ritorno a S. Siro: lo ringrazia per le belle parole che ha dedicato all'Ascoli nel servizio di presentazione della partita, e lo invita ad Ascoli: "Venga quando vuole. Per me sarà un onore ospitarla e farle vedere quante cose belle ci sono nella mia città. So che lei è un intenditore di vini: le farò assaggiare il Rosso Piceno prodotto nelle mie cantine. Vedrà che roba". Parlando con gli amici, adesso, Costantino Rozzi si auto schernisce.

Ricordando i giorni in cui si chiedeva chi mai potessero essere "quei matti che trascorrono la domenica pomeriggio allo stadio", magari al freddo, per vedere un gruppo di giovanotti che corrono e danno calci al pallone. Mentre in mezzo al campo, c'è uno che corre come gli altri ma non la prende mai e quando non ce la fa più fischia per fermare il gioco e respirare un po'.

Il suo "miracolo" è già compiuto. Il miracolo di chi è riuscito a regalare un sogno lungo venticinque anni alla gente umile e modesta di una piccola città di provincia. Gente alla quale ha fatto vivere emozioni e soddisfazioni enormi, gente che grazie a lui, e attraverso lui, si è sentita importante, almeno nel calcio. Costantino Rozzi non c'è più da alcuni anni ma il suo ricordo resta vivo e presente in tutti i concittadini che continuano a nutrire per lui una sorta di venerazione. E' tuttora un punto di riferimento ideale. E sul muro antico di una silenziosa rua, dove i ragazzini fanno gol emulando i campioni, si legge ancora: "Custantì, tu che jè la nostra voce, fatte sentì". Tradotto dal dialetto ascolano: Costantino, tu che sei la nostra voce, fatti sentire. Sì, perché Rozzi era la voce della città. E anche l'anima.

Voi sapete che, prima di essere Presidente dell'Ascoli, io sono un ascolano, e fare qualcosa per la nostra città è qualcosa che mi dà fascino e mi dà veramente tanta gioia.

Costantino Rozzi